Il “tocco dolce” per i neonati della Terapia Intensiva Neonatale
Il nostro ospedale propone un percorso personalizzato con la triade madre-padre-figlio in cui i genitori imparano a comunicare con il proprio bambino attraverso il tocco dolce delle mani
del 24 Set 2019
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La nascita pretermine proietta il neonato in un ambiente sovraccarico di stimoli (luci, rumori, manipolazioni), viene separato dalla madre bruscamente, ed è sottoposto a stimolazioni sensoriali precoci inappropriate che hanno effetti destabilizzanti nei confronti del suo benessere. Il tatto e il contatto nelle primissime fasi di vita di un neonato sono fondamentali per stabilire una relazione affettiva sicura e amorevole.
Nasce cosi il progetto “Rimettiamoli in ConTatto” coordinato dall’infermiera Maria Minichino insieme alle colleghe Franca Sarracino, Marianna Bottino, e Anna Di Matteo che da circa 10 anni si dedicano come Insegnanti A.I.M.I ai “piccoli guerrieri” della Tin dell’Ospedale Evangelico Betania. Il progetto è rivolto ai bambini dalle 23 settimane di vita (estrema prematurità) fino alle 33/34 settimane e consiste in un percorso con la triade madre-padre-figlio personalizzato in cui i genitori impareranno a comunicare con il proprio bambino attraverso il tocco dolce delle mani. L’insegnante, basandosi sulla lettura dei segnali, facilita un dialogo basato sul “nurturing touch” tra i genitori e il loro bambino. Ogni bambino può sentire e percepire il tocco dei propri genitori e riconoscerne la voce e l’odore specifico. Inoltre il contatto mira a ridurre al minimo gli effetti stressanti a cui vengono sottoposti e a considerare maggiormente i bisogni fisici, psicologici ed emozionali.
“Il tocco dolce o massaggio gentile, è un’esperienza di profondo contatto emotivo, attraverso le mani, la pelle, lo sguardo della madre e del suo bambino. Il tatto è il senso più importante che abbiamo ed è il primo a svilupparsi. La pelle è l’organo più esteso poiché ricopre tutto il corpo e con i suoi numerosissimi recettori sensoriali ha un ruolo fondamentale nei meccanismi di autoregolazione del sistema nervoso” spiega Maria Minichino.
“Siamo riconoscenti ai responsabili della Fondazione Evangelica Betania per la sensibilità mostrata verso l’argomento prematurità, un mondo sconosciuto fino a quando non lo si vive, che ci hanno permesso di poter attuare il progetto nella nostra realtà lavorativa fornendo gli strumenti giusti ai genitori e ai loro figli per poter meglio stare vicino durante tutta l’ospedalizzazione”, conclude la Minichino.
Nasce cosi il progetto “Rimettiamoli in ConTatto” coordinato dall’infermiera Maria Minichino insieme alle colleghe Franca Sarracino, Marianna Bottino, e Anna Di Matteo che da circa 10 anni si dedicano come Insegnanti A.I.M.I ai “piccoli guerrieri” della Tin dell’Ospedale Evangelico Betania. Il progetto è rivolto ai bambini dalle 23 settimane di vita (estrema prematurità) fino alle 33/34 settimane e consiste in un percorso con la triade madre-padre-figlio personalizzato in cui i genitori impareranno a comunicare con il proprio bambino attraverso il tocco dolce delle mani. L’insegnante, basandosi sulla lettura dei segnali, facilita un dialogo basato sul “nurturing touch” tra i genitori e il loro bambino. Ogni bambino può sentire e percepire il tocco dei propri genitori e riconoscerne la voce e l’odore specifico. Inoltre il contatto mira a ridurre al minimo gli effetti stressanti a cui vengono sottoposti e a considerare maggiormente i bisogni fisici, psicologici ed emozionali.
“Il tocco dolce o massaggio gentile, è un’esperienza di profondo contatto emotivo, attraverso le mani, la pelle, lo sguardo della madre e del suo bambino. Il tatto è il senso più importante che abbiamo ed è il primo a svilupparsi. La pelle è l’organo più esteso poiché ricopre tutto il corpo e con i suoi numerosissimi recettori sensoriali ha un ruolo fondamentale nei meccanismi di autoregolazione del sistema nervoso” spiega Maria Minichino.
“Siamo riconoscenti ai responsabili della Fondazione Evangelica Betania per la sensibilità mostrata verso l’argomento prematurità, un mondo sconosciuto fino a quando non lo si vive, che ci hanno permesso di poter attuare il progetto nella nostra realtà lavorativa fornendo gli strumenti giusti ai genitori e ai loro figli per poter meglio stare vicino durante tutta l’ospedalizzazione”, conclude la Minichino.