La grande lezione del Covid-19

La grande lezione del Covid-19

La riflessione della Presidente della Fondazione Evangelica Betania Cordelia Vitiello
La grande lezione del Covid-19 Quello che si chiude in questi giorni è un anno che mai avremmo immaginato di vivere. Un anno difficile, di sofferenza, di dolore. Un anno in cui, per la prima volta, abbiamo visto morire persone care senza poterle assistere, starle vicine. In cui abbiamo sperimentato la solitudine, la paura, l’incertezza. Un anno fatto di giorni interminabili, senza poter uscire dalle nostre case. Un anno che ha messo a dura prova la nostra fede. Ma è stato un anno in cui abbiamo riscoperto le cose semplici, lo stare insieme in famiglia, il valore della comunità e della Chiesa, il valore della nostra vita! Ho vissuto l’esperienza del contagio da Coronavirus e della malattia personalmente. Sono stati giorni terribili, ho avuto paura di morire. Come ho avuto modo di raccontare anche pubblicamente per me è stata una grande lezione di vita. E penso che tutto ciò che abbiamo vissuto da marzo in poi e stiamo ancora vivendo sia stata e resterà una grande lezione per tutti.

Ripensando ai mesi trascorsi e a tutto ciò che abbiamo vissuto personalmente e come Ospedale mi è venuta in mente l’esperienza di Giobbe. Una Parola che avremo ascoltato e meditato tante volte ma su cui ognuno di noi ha sempre pensato: non mi riguarda!
E invece… ci siamo ritrovati tutti, ma proprio tutti, a viverla personalmente. Da un giorno all’altro, improvvisamente, ci siamo ritrovati a vivere un tempo sospeso, a dover rinunciare agli spostamenti, ai viaggi, al turismo, allo svago, allo sport. Tutte le nostre sicurezze, finanche la vita stessa, sono state messe in discussione. Ognuno di noi si è ritrovato a vivere l’esperienza di Giobbe e come per lui la nostra fede è stata messa alla prova. A tutti è riecheggiato nella testa il grido di Giobbe: Perché proprio a me? Dove sei Dio? Giobbe aveva tutto, eppure un giorno si ritrova senza più niente!

La pandemia è stata ed è una prova difficile, per tanti anche troppo grande, che ci ha messi di fronte a noi stessi, alle nostre debolezze, ai nostri limiti, personali e sociali. È una prova che possiamo superare solo con la fiducia in Dio e nei fratelli. Mi piace richiamare l’esperienza di Giobbe perché lui, nonostante si ritrova all’improvviso perso e disorientato, non perde la sua fede in Dio e non addita a Dio il male e le prove che subisce. Nel racconto biblico, che vi invito a rileggere per il Natale e il nuovo anno, la risposta di Dio alle domande di Giobbe sorprende. Il Signore non dà spiegazioni a Giobbe ma lo interroga, apre un dialogo con lui per portarlo ad una confessione di fede. 

Mi piace pensare che questa pandemia con tutte le prove che ci ha portato sia un tentativo di Dio a ristabilire un dialogo con l’umanità e con ognuno di noi. Un dialogo che, forse, ma lo dico con molto rispetto e umiltà, si è un po' deteriorato. Un dialogo fondato sulla Sua parola, sulla carità operosa, sulla capacità di andare incontro agli altri e non solo di aspettare che vengano a chiederci qualcosa. Un dialogo, invero, di cui – forse – abbiamo perso le coordinate troppo presi dal benessere, dalle comodità, dal nuovo sistema sociale caratterizzato da una facilità di relazione e comunicazione che ci ha fatto perdere l’autenticità della relazione, anche con Dio.

Nonostante tutto, le grandi difficoltà, anche economiche, che abbiamo avuto e vissuto dobbiamo guardare avanti. Abbiamo il dovere di farlo per noi stessi e per i nostri figli e nipoti che sono stati e sono molto disorientati. La nostra vita è costruita sulla speranza che è l’essenza unica della nostra fede, dell’essere cristiani. La speranza non è, però, un sentimento astratto, nasce dal nostro impegno verso gli altri. Nei mesi difficili di questa pandemia, dell’emergenza sanitaria, la speranza ce l’hanno data tutti coloro che non si sono mai fermati e hanno messo a rischio la propria vita, in alcuni casi donandola agli altri, per il bene di tutti. Penso ai medici e agli infermieri, agli impiegati dei supermercati, alle forze dell’ordine, ai trasportatori, ma anche a tanti operosi lavoratori della pubblica amministrazione o ai ricercatori impegnati nella ricerca del vaccino lavorando giorno e notte senza sosta. Quelle persone, insomma, che in prima linea o dietro le quinte hanno consentito che potessimo guardare avanti. È quello che abbiamo fatto anche con la Fondazione Evangelica Betania e nel nostro Ospedale. Perché l’impegno che ci ha consentito di affrontare e superare questa difficilissima crisi non sia vano adesso dobbiamo guardare avanti, dobbiamo provare a immaginare il futuro che, come abbiamo sentito ripetere all’infinito, non sarà più come prima. L’ospedale, se vuole continuare a fare e fare bene quello che ha fatto fino ad oggi deve rinnovarsi, nelle competenze, nelle tecnologie e nell’organizzazione, come ha sempre fatto in passato. L’umanità uscirà rafforzata da questa grande prova, a cominciare dalle nostre famiglie, se ognuno di noi sarà un testimone di speranza.
È il mio augurio per il nuovo anno.


* Presidente della Fondazione Evangelica Betania

 

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