RISCOPRIRE L’IMPORTANZA DI ESSERE COMUNITÀ. GLI AUGURI DELLA PRESIDENTE CORDELIA VITIELLO

RISCOPRIRE L’IMPORTANZA DI ESSERE COMUNITÀ. GLI AUGURI DELLA PRESIDENTE CORDELIA VITIELLO

Il messaggio augurale per il nuovo anno
RISCOPRIRE L’IMPORTANZA DI ESSERE COMUNITÀ. GLI AUGURI DELLA PRESIDENTE CORDELIA VITIELLO Nel suo ultimo libro, Raghuram Rajan, uno dei più autorevoli economisti contemporanei, lancia il grido d’allarme sull’urgenza di recuperare il ruolo fondamentale della comunitàdimenticata tra Stato e mercati”. Secondo lo studioso indiano “Stato e mercati hanno ampliato il proprio potere e la propria portata lasciando relativamente priva di potere la comunità nel far fronte al più grande, profondo e disomogeneo impatto della tecnologia sulla vita dell’uomo”. Come non dargli torto!

I dati più recenti ci dicono che trascorriamo più di 6 ore online (che diventano oltre 12 per i più giovani) rinunciando, di fatto, alle relazioni personali e affidandoci in ogni attività alla tecnologia: dagli aspetti più banali della vita personale a quella lavorativa, dallo svago alla fede! Siamo nel pieno della più grande rivoluzione antropologica mai prodotta dalla tecnologia da cui siamo risucchiati senza riuscire ad opporci. I giovani, gli adolescenti e (ahinoi) i bambini sono i soggetti più esposti. Per dirla con un linguaggio attinente: c’è un antivirus per questa situazione?

Per noi cristiani la risposta è si ed è molto più alla portata di quanto sembri. È la comunità. Guardando al nuovo anno, il 2020, il mio augurio è riscoprire l’importanza di essere comunità. Una sfida che non può che partire dalle nostre Chiese avendo la consapevolezza che oggi mai come in passato abbiamo un ruolo politico fondamentale. Le Chiese, non solo quelle evangeliche, in questo periodo storico come in altre epoche della storia dell’umanità possono e devono giocare un ruolo di prossimità, rappresentando quei punti di riferimento che mancano nella società che stiamo vivendo. Le persone hanno bisogno di avere fiducia in qualcosa, in Qualcuno. E noi possiamo rappresentare quel punto di riferimento. L’opportunità ci viene dal contesto sociale come ci ricorda sempre Rajan nelle prime righe del suo libro: “Siamo circondati dall’abbondanza. L’umanità non è mai stata così ricca negli ultimi 250 anni. Eppure per la prima volta non riusciamo ad avere fiducia nel futuro, che consideriamo pericoloso”.
Nell’epoca della network society in cui siamo tutti interconnessi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ci sentiamo soli. Il segreto per uscire da questa situazione molto diffusa e pervasiva è nell’anima della comunità: la condivisione. Paradossalmente le due parole chiave della crisi sociale sono anche quelle che ne possono sancire il rilancio: comunità e condivisione. Grazie al web e ai nostri smartphone sempre connessi siamo parte di decine di community più o meno grandi e l’attività che facciamo più frequentemente è condividere, eppure non siamo soddisfatti. Perché quelle community e quella condivisione non riguardano il nostro essere ma principalmente quello che facciamo! Quello che lega e fa crescere la comunità, qualsiasi comunità, e dà senso alla condivisione è l’amore che per noi cristiani si traduce nella carità, cioè mettersi a servizio di chi è meno fortunato, i poveri, gli emarginati, ma anche chi non ha gli strumenti culturali per affrontare tempi così difficili. In poche parole i diversi da noi. E invece proprio la diversità è divenuta l’elemento di rottura con gli altri, tutti gli altri. Siamo impegnati in una battaglia quotidiana estenuante contro tutti quelli che esprimono idee o hanno posizioni diverse dalle nostre e i social network sono diventati il luogo privilegiato per esprimere questo odio, questa rabbia. Se ci pensate bene, se ci pensiamo bene, con la diversità ci confrontiamo quotidianamente in famiglia, nella coppia, con i figli o gli amici. Diciamo basta a questo odio e a questa rabbia contro tutto e tutti. Se qualcosa non va ne siamo responsabili noi per primi. Se vogliamo cambiare le cose, se vogliamo un futuro migliore per noi, i nostri cari e le organizzazioni più diverse in cui operiamo, cominciamo a cambiare noi stessi. Proviamo a ripensare il nostro ruolo e il nostro contributo non come singoli individui ma come comunità. Bisogna semplicemente andare avanti congiuntamente tra tutti coloro che hanno il compito di essere quelli che lavorano per l’azienda in cui lavorano, la città o il Paese in cui viviamo, con l’Europa e provare a entrare in armonia con l’idea di un mondo che sarà sempre più globalizzato. Se la globalizzazione è buona o cattiva dipende solo da noi e dalla capacità che abbiamo di vivere in “comunione con” l’altro.

Una delle espressioni di Platone a cui sono più affezionata è: “non siamo nati soltanto per noi”. Trasformiamolo in uno stile di vita. È il mio augurio per il 2020.
 
 

 

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